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Alberto Burri

Alberto Burri nasce a Città di Castello il 12 marzo 1915, e si laurea in medicina nel 1940. Si arruola come ufficiale medico, ma viene fatto prigioniero a Tunisi nel 1943. Nel 1944 viene portato dagli americani in un campo di prigionia in Texas dove inizia a dipingere. Tornato in Italia nel 1946 abbandona definitivamente la medicina per dedicarsi esclusivamente alla pittura, e nei due anni successivi tiene le sue prime personali a Roma.

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La sua ricerca artistica è incentrata unicamente sull’astratto. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta nascono le serie delle «muffe», dei «catrami» e dei «gobbi». Le immagini sono ottenute, oltre che con colori ad olio, con smalti sintetici, catrame e pietra pomice. Nella serie dei «gobbi» introduce la modellazione della superficie di supporto con una struttura di legno, ponendo l’accento sull’aspetto plastico dell’opera pittorica.

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Dal 1950 assumono rilievo i sacchi di iuta, logori e rammendati, incollati su tele dipinte di nero o di rosso. A partire da questi anni, Burri inizia a esporre in America e in Europa. Cinque anni dopo comincia a sperimentare utilizzando diversi materiali e sostituendo i sacchi di iuta con indumenti sempre logori e usati, che evidenziano la carica poetica dei residui solidi dell’esistenza.

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Negli anni Sessanta appaiono i Legni, le Combustioni e i Ferri. Nelle Combustioni usa il fuoco per bruciare legni e plastica, mantenendo così il concetto di consunzione.

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Gli anni Settanta registrano una progressiva rarefazione dei mezzi tecnici e formali verso soluzioni monumentali, dai Cretti ai Cellotex. In queste opere, realizzate con una mistura di caolino, vinavil e pigmento fissata su cellotex, Burri raggiunge il massimo di purezza e di espressività. Le opere, realizzate o in bianco o in nero, hanno l’aspetto della terra essiccata e mettono in evidenza un processo di consunzione che colpisce il suolo, visto anch’esso come elemento primordiale.

 

Alberto Burri muore a Nizza il 13 febbraio 1995.

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